sabato 18 agosto 2007

Perchè abbiamo amato, amiamo e ameremo sempre Fabrizio De Andrè

De André ha stravolto i canoni della canzone italiana con le sue misteriose e magiche ballate dal ritmo intenso e penetrante, sempre sospese tra mito e realtà. Ha sempre attribuito una maggiore attenzione alla qualità del testo rispetto alla quantità della produzione.

Ha sfidato gli arroganti ed i potenti di ogni tempo con il linguaggio sferzante dell’ironia, senza mai cedere alle “leggi del branco”.

Molti suoi testi sono considerati dei veri e propri componimenti poetici e, come tali, inseriti in diverse antologie scolastiche di letteratura.

Sempre fuori dal coro, De André ci ha parlato di libertà, rifiutando dogmi, parole d’ordine e slogan da combattimento.

Ascoltare De André è stato come leggere un romanzo di formazione, uno di quei libri in cui si racconta una crescita e ci si identifica in una maturazione; in cui il lettore cresce e matura leggendo.

De André era innanzitutto la sua voce, una voce da sciamano suadente, che si riconosceva all’istante come quella, antichissima e vivifica, di un cantore di razza.

Quel timbro era così unico, inconfondibile, inimitabile: la sua voce non era mai estranea a ciò di cui parlava. Era una voce etica. In tutte le sue canzoni traspare la ricerca del senso etico prima ancora che estetico. Sembra impossibile immaginare De André senza la sua voce, senza quella voce.

In una continua e straordinaria ricerca poetica, De André ha raggiunto un raffinato e profondo pathos, anche nelle canzoni in dialetto che, in genere, incontra molte difficoltà ad entrare nel circuito mediatico. Ma De André, con la sua vibrante e suadente voce, è stato capace di trasformare il dialetto delle sue canzoni in una lingua alta e sensuale; un’eleganza che non è mai folklore ma sempre ricerca, ostinata ed etica.

A De André va sicuramente riconosciuto il coraggio e la coerenza di aver scelto di sottolineare i tratti nobili ed universali degli sconfitti; nelle sue canzoni ha cantato spesso storie di emarginati, ribelli, diseredati, come in una specie di “antologia dei vinti”, dove lessenza della persona conta più delle azioni e del loro passato.

Nella sua produzione artistica De André ha raggiunto alte vette di lirismo poetico. In ogni sua canzone è presente la poesia come atto di amore e di riscatto verso l’umanità ferita e dimenticata.

I versi delle sue canzoni sono sempre improntati ad una personale e disincantata filosofia cristiana, ad una particolare spiritualità, ad una grande eticità e ad una profonda sensibilità.

Lo scrittore colombiano A. Mutis disse che soltanto un uomo con una grande anima come lui avrebbe potuto scrivere quei versi.

L’eleganza, la forza, la grazia, il mistero di quei versi, vestiti di una musica come di sogno, non potevano che provenire dalla mente e dal cuore di un artista così immenso.

Dentro le sue canzoni, ci sono i suoi due immensi mari, sospesi tra la poesia e la rabbia. Ed in mezzo lui, l’artista, l’uomo, un’isola che, tra violente burrasche e sospirate bonacce, sapeva ascoltare il rumore del mare profondo e di tutte le sue creature. Un porto di navi e lingue diverse, di marinai e donne misteriose, dove sbarcavano le sonorità di terre lontane e le parole degli chansonnier francesi che tanto amava.

Il musicista e compositore N. Piovani ha detto che De André non è stato mai di moda. La moda, effimera per definizione, passa. Le sue canzoni, invece, restano.

De André era unico. Lo era nella fatica, nel disagio, nell’inquietudine di creare. Lo era nel cercare sempre una strada propria in mezzo al divismo ed alle ben calcolate produzioni della musica moderna. Un modello inimitabile di coerenza, serietà ed ironia.

La sua produzione artistica è memorabile per varietà ed intensità. Un artista che non ha mai dimenticato che c’è nella musica un mistero prezioso, una sfida, una ribellione che non deve arretrare davanti ai tempi ed alle mode.

Le sue canzoni, che hanno il coraggio e la passione di incontrare le diverse culture, sono un vaccino contro ogni razzismo. Ogni sua canzone è un dono misterioso che deve essere conservato. Per tutto questo, De Andrè rappresenta un mito fertile, che ci spinge a non rinunciare al nostro talento, a seguire la nostra rabbia, il nostro stupore, i maestri migliori. De André era uno degli ultimi rimasti. Accettiamo la sua sfida, adesso che non c’è più. E’ ancora possibile essere liberi, seri, creativi, senza compromessi e senza paure.


Michele Petullà (pubblicato su Calabria Ora del 17/8/2007)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bravo Michele, intensa e passionale la voglia del ricordo di chi, evidentemente, ti ha dato molto.
Congratulazioni.