sabato 4 ottobre 2008

Epopea Alpina: Un uomo. Una storia
Racconta Don Giuseppe Ferrari

Marcella Mellea, Michele Petullà, un uomo, una storia,
Vibo Valentia, adhoc edizioni, 2008,127, s.i.p.

Libro a quattro mani la cui trama coinvolgente e’ scritta in forma chiara e scorrevole e si fa leggere volentieri e tutto di un fiato, per arrivare alla fine della vicenda che (spinge verso l’epilogo).
Sembra di rivivere e rivisitare una tragedia familiare delle varie ed assortite guerre del passato e del presente.
Lo stile colloquiale apre con un dolce dialogo continuo e pacato, tra la figlia ed il proprio padre che diventa talvolta soliloquio reale ed immaginario insieme, denso di tenui, delicati ed affettuosi sentimenti, di emozioni forti e non rimossi, recuperati dallo struggente scrigno della memoria. In questo clima viene descritta la vicenda di un umile alpino calabrese che lotta per la sopravvivenza e per il ritorno alla casa natia dove la madre sempre l’aspetta.
Il protagonista è un alpino coinvolto in una storia più grande ed imprevista della sua vita, durante l’arco della seconda grande guerra (1939-45); non voluta, ma subita come da quasi tutti i nostri soldati.
Il testo preso in esame ricostruisce fedelmente il quadro storico, con cenni rapidi, ma sicuri, l’avventura dei nostri soldati e la conseguente disfatta verificatasi dopo la rovinosa ritirata dal Don.
Mussolini “aveva bisogno di un pugno di morti da usare al tavolo delle trattative” per una guerra che secondo i suoi calcoli sarebbe durata poco tempo, anche perché suggestionato dalla “Blitzkrieg” la guerra lampo di Hitler, che aveva avuto tanti successi. L’esempio più éclatante e drammatico della impreparazione ed inferiorità militare italiana si verificò proprio con la partecipazione alla guerra di Russia. Poco dopo l’attacco tedesco, 26 giugno 1941, Mussolini aveva inviato un corpo di spedizione italiano, lo Csir, forte di circa 50.000 uomini. Nessuna ragione strategica coinvolgeva l’Italia in quel conflitto, né vi erano interessi nazionali da far valere.
L’unico fondamento di quella decisione, che sarebbe costata perdite umane immense, era l’intenzione di Mussolini di acquisire titoli di benevolenza presso l’alleato tedesco e di sdebitarsi, in qualche modo dell’aiuto ricevuto in Grecia. Nel 1942, poi, dopo le prime difficoltà incontrate dai tedeschi nella “guerra lampo”, le forze italiane furono portate a circa 220.000 uomini, (un intero corpo di armata): l’Armir. Furono proprio queste truppe a trovarsi coinvolte direttamente nella offensiva d’inverno lanciata dai sovietici sul fiume Don; il fronte fu sfondato e decine di migliaia di soldati italiani morirono congelati o furono fatti prigionieri. I soldati italiani erano male armati e peggio equipaggiati, combatterono col fango, il ghiaccio e la fame. Vi furono gesti e scaramucce di grande eroismo individuale ed insieme di estrema resistenza davanti all’inesorabile avanzata dell’armata sovietica.
L’eco delle canzonette… del “testamento del capitano” mi tornano tristemente all’orecchio: I suoi alpini ghe’ manda a dire – che non scarpe per camminar “o con scarpe o senza scarpe – i miei alpini li voglio qua”…
Francesco Giuseppe Mellea è stato un fortunato redivivo, grazie alla sua indomita fede religiosa ed alla sua tenace volontà.
Per lui è stato di grande aiuto e rimarrà riconoscente, per il resto della sua vita, per l’intervento di S. Franecsco di Paola, pag. 91 del testo, grato alla sua intercessione per essere riuscito a sopravvivere al disastroso evento bellico che solo nella nostra Calabria causò la morte di migliaia di uomini.
I nostri militari in segno di protezione portavano custodite gelosamente nel taschino della giacca della divisa militare (dalla parte del cuore) le immagini della Madonna, dei Santi di cui erano devoti, con le foto dei propri cari lontani.
Il libro costituisce un monito contro l’assurdità della guerra che lascia sempre dietro di sé distruzioni, lutti e rovine ed una lunga ostilità tra i popoli.
“Risposta non c’è, o forse chi sa, caduta nel vento sarà? Al perché della guerra (Bobby Dylan) canta: “Quanti cannoni dovranno sparar – e quando la pace verrà – Quanti bimbi innocenti dovranno morir e senza saperne il perché – Quanto giovane sangue versato sarà, finchè un’alba nuova verrà?”
“Dona, o Signore il riposo eterno ai nostri morti ed ai caduti di tutte le guerre – Concedi ai popoli la pace nella giustizia e nella libertà e che l’Italia nostra, stimata ed amata nel mondo, meriti la protezione tua e la materna custodia di Maria, anche in virtù della concordia operosa dei suoi figli Amen”, (dalla preghiera del soldato).

Giuseppe Ferrari

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